Ormai divenuto un classico della sociologia giuridica della devianza e del mutamento sociale, Criminologia critica e critica del diritto penale resta il punto di riferimento di ogni ricerca in ambito socio-giuridico. In questo volume, la devianza e la questione criminale sono ritenute come socialmente, economicamente e culturalmente prodotte e vengono passate in rassegna le più importanti teorie criminologiche di sistema, al fine di fornire una panoramica strutturale e manualistica sull’argomento.
Dalla Scuola liberale all’ideologia della difesa sociale, dalle teorie psicoanalitiche della criminalità e della società punitiva alla teoria struttural-funzionalista della devianza, fino alla criminologia critica e alle politiche alternative, non v’è studio più fitto ed esaustivo sull’argomento.
La letteratura criminologica è concorde nell’affermare che non è possibile individuare una diretta, immediata relazione fra i tassi di criminalità e quelli detentivi. Al contrario, la relazione fra criminalità e detenzione appare complessa e oltremodo incerta (Matthews, 2009).
D’altro canto la sociologia della pena, fin dalle sue origini (Foucault, 1976; Rusche, Kircheimer, 1968) ha spiegato come la penalità sia maggiormente influenzata da fattori sociali di natura strutturale, esterni alle dinamiche interne legate all’andamento del crimine e alla sua repressione.
Al tempo stesso, la criminologia critica di stampo costruzionista (Hester, Eglin, 1999) mette in guardia sull’utilizzo acritico delle statistiche ufficiali sulla criminalità. Tali statistiche, infatti, non sono rappresentative della reale entità del crimine, quanto piuttosto esclusivamente di quella parte residuale di reati di cui vengono a conoscenza le agenzie del controllo sociale.
Esiste infatti un numero oscuro di reati di cui la collettività, e in particolare le forze dell’ordine, non vengono a conoscenza.
La criminalità non è un fatto sociale ma politico: secondo tale impostazione la devianza è solo una diretta manifestazione di dissenso verso il sistema.