L’espressione white collar crimes, coniata dal criminologo americano Sutherland, si riferisce ai delitti perpetrati dalla “persona rispettabile, appartenente alla classe superiore, che commette un reato nel corso dell’attività professionale, violando la fiducia formalmente o implicitamente attribuitagli”.
Ad oggi, la criminologia si rimanda ad essa per spiegare in chiave soggettivistica le più svariate forme di criminalità economica, che negli anni hanno assunto contorni incerti e ondivaghi. Si tratta, infatti, di un insieme di condotte illecite difficilmente inquadrabili, diramate su scala planetaria, attraverso prassi speculative sistemiche e manovre di massimazione dei profitti basate su processi di infiltrazione in attività imprenditoriali lecite.
La criminalità di tipo economico si fonda su fatti delittuosi facilmente mimetizzabili e misconosciuti, che si celano sotto l’apparenza di transazioni o affari legali, o si perdono nella rete dei traffici aterritoriali e anonimi del cyber spazio.
I white collar criminals agiscono sfruttando la posizione sociale e imprenditoriale ricoperta e tessendo rapporti con i centri politici o con l’associazionismo criminale organizzato, in vista di un’illecita implementazione degli utili e del perseguimento anticoncorrenziale degli obbiettivi prefissati. I mille volti della criminalità economica ricomprendono attività illegali di tipo eterogeneo: si va dai crimini informatici, agli occupational crimes, ai delitti compiuti dai vertici imprenditoriali.
E ormai da tempo gli studi sulla cd. “delinquenza delle classi superiori” evidenziano le difficoltà di circoscrizione e repressione del fenomeno, incardinato in realtà organizzate, lecite e non, che si muovono agilmente sia a livello territoriale, che su scala mondiale, anche sulla base delle garanzie offerte dalla mediazione tecnologica.
La perpetrazione di crimini all’interno delle strutture imprenditoriali ha inoltre fatto emergere l’idea di una colpa d’impresa, connessa all’assenza di idonei ed effettivi strumenti di autoregolamentazione in grado di prevenire comportamenti criminosi e contenere il pericolo di attività illecite compiute da soggetti comunque inseriti nel circuito aziendale.
Di qui anche la necessità di adeguare l’impianto penalistico moderno alla nuova realtà criminale, attraverso l’elaborazione di tecniche di contenimento dei cd. corporate crimes, e l’opportunità di costituire appositi Compliance Programs per il controllo del potenziale criminogeno societario e l’esclusione di profili di colpa per comportamenti devianti tenuti da sottoposti o vertici imprenditoriali.
La varietà di fenomenologie criminali coinvolte, ci ha indotti a un costante approfondimento criminologico delle questioni connesse alla delinquenza di tipo economico. In più occasioni ci siamo occupati di contesti criminali legati al circuito dell’economia.
Il riferimento è alla corruzione sistemica imprenditoriale – che da anni domina indisturbata le strategie aziendali e i meccanismi di mercato – ai crimini informatici – ricondotti, pur nella loro eterogeneità, alla macro categoria dei white collar crimes – e alla cd. responsabilità d’impresa – condizionata all’elusione di idonei modelli di governance predisposti per la regolamentazione dell’attività aziendale e la conseguente prevenzione di focolai criminali al suo interno.
E la trattazione nasce proprio dalla volontà di ricomporre in modo unitario i nostri studi sul tema, in modo da tracciare un quadro criminogenetico e criminodinamico più ampio, che consenta al lettore una consapevole maturazione delle principali tematiche criminologiche riconducibili al fenomeno della cd. delinquenza economica.