Il testo si propone di affrontare il tema dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare ad essa associati in una prospettiva psicologica che coniuga l’esperienza riabilitativa e di ricerca di psicologi e medici all’interno dell’Istituto Auxologico Italiano, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico storicamente impegnato nel trattamento dell’obesità e delle sue complicanze.
Oltre ad un inquadramento generale del fenomeno obesità nella sezione 1, vengono trattati, nella sezione 2, i temi della diagnosi e dei principali trattamenti integrati per l’obesità, con un approfondimento sugli interventi psicologici e psicoterapeutici individuali e di gruppo di diverso orientamento. La sezione 3 illustra le possibilità di cura e di ricerca nei contesti extra-ospedalieri o complementari al ricovero.
Si evidenzia la realtà del day hospital per l’obesità e si sottolinea il contributo della medicina di famiglia. Infine si accenna alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie (Progetto TECNOB in particolare). Il testo fornisce dunque spunti di riflessione e pratica clinica (diagnostica e riabilitativa) per psicologi, psicoterapeuti, medici di base e specialisti di diverse aree (psichiatria, endocrinologia, cardiologia, geriatria, medicina interna, ecc.) ed altri operatori sanitari che si trovano a lavorare a vari livelli con pazienti con obesità a diversi livelli di gravità.
L’obesità è una condizione patologica cronica, evolutiva e recidivante che riconosce un complesso di cause di diversa natura e consiste in un eccesso di tessuto adiposo che peggiora la qualità della vita e ne riduce la durata. È associata a una serie di problemi di ordine fisico e psicologico ben documentati in letteratura.
Ci sono numerosissimi studi che sono serviti a definire le caratteristiche cliniche dell’obesità. Un metodo per stabilire i confini tra peso inferiore alla media, peso normale, sovrappeso e obesità è quello del Body Mass Index, meglio noto come BMI. In ogni caso, il rischio per la salute è associato, più che al valore del peso in assoluto, alla maggiore quantità di grasso presente nell’individuo in esame.
Gli psicologi evoluzionisti affermano che gli obesi, che appaiono oggi poco adattati e disfunzionali, nel passato hanno rappresentato un buon modello di adattamento. Questi studiosi ritengono che tutte le specie, inclusa quella umana, si siano modificate attraverso una rigida e continua selezione naturale. In questa logica, soltanto le caratteristiche che aggiungono vantaggi – o al limite non producono svantaggi – sopravvivono nella specie.
Un modello evoluzionistico dell’obesità potrebbe avere un senso alla luce delle condizioni alimentari in cui vivevano i nostri avi.
Un recente studio condotto su 3.610 soggetti di nazionalità svedese,48 nel quale veniva preso in considerazione il BMI e il regime alimentare seguito, si è interrogato sugli orari dei pasti degli obesi, ipotizzando che questi fossero diversi rispetto a quelli dei non obesi. I risultati della ricerca hanno mostrato che gli obesi saltano con maggiore frequenza la colazione e il pranzo, ma mangiano notevoli quantità di cibo durante la notte.
Un’altra particolarità è che si nutrono in modo differente rispetto alle persone normopeso: masticano più velocemente rispetto ai non obesi, ingoiano bocconi più grandi e in generale hanno un maggiore introito alimentare. Dallo studio è emerso che – pur consumando una quantità di cibo superiore rispetto a quella necessaria alla sopravvivenza secondo il fabbisogno calorico quotidiano – gli obesi non mangiano tanto di più dei non obesi come si potrebbe immaginare.
Diversi studi hanno dimostrato che l’essere obesi può spingere alla depressione. Una ricerca ha documentato come in alcuni adulti affetti da obesità, con BMI superiore a 30, l’incidenza della depressione fosse 5 volte maggiore rispetto al gruppo di controllo normopeso.
È importante notare che gli obesi depressi ricercano con più frequenza di quelli non depressi un trattamento per perdere peso. Alcune ricerche effettuate su pazienti con elevati gradi di obesità, e in attesa di un intervento di chirurgia bariatrica, hanno evidenziato che i livelli di depressione in questi soggetti erano più elevati rispetto a quelli del gruppo di controllo con peso normale.