La mente medica, Che significa “umanizzazione” della medicina?

Il paziente dei nostri servizi sanitari è una persona o un numero? Un soggetto o un oggetto? Una persona sofferente o un insieme di meccanismi da aggiustare in una catena di montaggio di tanti specialisti? A ragione si parla oggi di umanizzazione della medicina e di demedicalizzazione dei servizi. Ci sono oltre venti lauree sanitarie ognuna delle quali dovrebbe comportare una professione diversa da quella del medico, e “più umana”: nel percorso formativo di queste lauree sono previste diverse discipline psicologiche e sociali.

Ma l’impresa è difficile. Giustamente definite sanitarie, anziché mediche, anzi meglio “della salute”, o “di aiuto”, queste professioni dovrebbero essere diverse da quella medica: sono di fatto diventate altrettante “altre” professioni mediche. La “mente medica”, nel collettivo delle Organizzazioni si è appropriata di queste professioni come fossero “sue”.

Le diverse scienze psicologiche in primis la Psicologia Clinica e la Psicosomatica, dovrebbero essere al centro della formazione, anzi di una nuova forma mentis, di questi nuovi operatori. Ma come viene applicato l’intento del legislatore nell’Università Italiana e nella cultura sanitaria? Il grande mantello della medicina, di una certa medicina, copre gli scopi che erano stati intuiti come necessari per le differenti professione della Salute.

Il presente testo intende chiarire misconoscimenti e riduzionismi che paralizzano il pur auspicato mutamento della medicina e le sue articolazioni in differenti professionalità. La Psicologia Clinica si pone come chiave per leggere la mentalità collettiva che sottende l’attuale cultura sanitaria medicalizzante, che si scontra con le esigenze della persona umana, negando, oltretutto, quanto la psicosomatica oggi ci dice circa la costante modulazione psichica di tutti i processi organici, nella salute così come in tutte le malattie. L’umanizzazione della medicina non è un surplus eticamente giusto per il malato: è un indispensabile agente terapeutico. La sua mancanza è iatrogena.

Molto si è scritto sulla relazione medico–paziente, sulla figura carismatica del medico e sul potenziale curativo di un rapporto umano e accogliente verso i pazienti. Ma la medicina si è evoluta: tecnicizzata e parcellizzata, nelle ognora moltiplicantesi specializzazioni. Il paziente viene così anch’egli parcellizza-to: diventa “oggetto”, non più soggetto, un insieme di meccanismi sui quali intervenire con protocolli definiti. La persona facilmente diventa un numero.

Per contro il medico, oberato dalla necessità di acquisire progressive conoscenze tecnologiche, non ha più spazio mentale per il rapporto col paziente. Forse per questo si è sentito il bisogno, proprio in seno alla medicina, di tornare a sottolineare il valore delle relazioni umane quale fattore di promozione della salute: e anche quale medium psicosomatico corroborante i processi di guarigione.

Si è parlato della necessità di riumanizzare la medicina. Ha risuonato ex novo il vecchio detto medicus ipse farmacum. In questa enfasi sul valore della relazione, di un prendersi cura in contrapposizione a un transitivo curare ( caring not curing), la cultura medica ha guardato e guarda i contributi della psicologia: ci si attende il contributo della Psicologia Clinica, nel frattempo sviluppatasi altrove.

Il termine “umanizzazione della medicina”, ora ampiamente usato per mostrare l’importanza del recupero della dimensione umana e relazionale nel processo di cura, merita di essere ridiscussa e considerate in riferimento al modo in cui le relazioni tra salute/malattia, norma/deviazione si sono evolute nel contesto della nostra civiltà.

Attorno a questa espressione, infatti, si raccolgono le richieste di cambiamento indirizzate alla medicina e a un approccio biomedico alla malattia. Ciò consente di riflettere sui significati culturali che accompagnano l’esperienza della malattia, del dolore e della sofferenza e le trasformazioni che hanno toccato la medicina nei decenni trascorsi.

I cambiamenti che nell’arco degli ultimi decenni hanno inciso sulla pratica del sapere medico richiedono una riflessione sui significati culturali dell’esperienza di malattia: il ricorso (attualmente così frequente) a espressioni come umanizzazione della medicina, merita pertanto di essere approfondito alla luce delle variabili sociali che hanno modificato l’odierna domanda di salute.


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