Dati recenti hanno dimostrato che esiste una relazione tra le condizioni psicologiche e la malattia cardiaca. Inoltre gli interventi psicologici su pazienti con malattia coronarica (CHD) possono ridurre il rischio cardiaco e migliorare la loro qualità di vita.
Questo volume, che è frutto della collaborazione con i più impegnati ricercatori internazionali nel campo della psicologia clinica e della salute applicata alla malattia cardiaca, presenta un panorama aggiornato e completo delle ricerche scientifiche in questo ambito. Nella prima parte del volume sono presentati i quadri psicologici e gli aspetti relazionali associati alla malattia cardiaca con un particolare approfondimento dei tratti di personalità.
Nella seconda parte sono illustrati gli interventi psicologici nella riabilitazione cardiaca che le ricerche hanno dimostrato essere efficaci nella riduzione del rischio cardiaco. Questo testo può essere un utile riferimento alla pratica dei medici, degli psicologi e degli operatori sanitari che vogliono comprendere ed approfondire il legame tra la patologia cardiaca e gli aspetti psicologici.
Una malattia cardiaca può far precipitare chi ne è colpito in gravi difficoltà psicologiche o provocare grandi ansie o gravi depressioni, fino a indurre il suicidio. Coloro che hanno già superato un’operazione di bypass, per esempio, possiedono un cuore di nuovo funzionante, ma di norma l’intero processo della malattia ha lasciato pesanti ripercussioni sulla loro anima.
Talvolta ci si aspetta che dopo un’operazione al cuore il paziente si senta felice, soddisfatto e spensierato: in fondo è di nuovo tutto a posto. In realtà, gli interessati accusano spesso paura di morire, preoccupazione, timore del futuro, e si lamentano per le esperienze inquietanti che hanno vissuto durante i preparativi per l’operazione, la terapia intensiva e i dolori.
La psicocardiologia prende in considerazione anche l’anima. Dopo un intervento i pazienti si riprendono più rapidamente se è presente uno psicologo qualificato. La terapia migliore è aiutare un paziente a essere un «paziente informato». Perché tutto ciò che il paziente non comprende (nel caso delle cure cardiache le cose sono molte) è in genere causa di grande timore, e proprio questo ostacola il processo di guarigione.
Oggi sappiamo che può celarsi dietro alle aritmie, soprattutto alla fibrillazione atriale, all’ipertensione e alla cardiopatia coronarica. Una nuova disciplina si occupa dell’interazione dei due organi: la psicocardiologia è l’anello di congiunzione tra cardiologia e psicologia, tra cuore e anima. Non considera l’uno o l’altra, bensì il loro insieme, perché la connessione non va solo dall’anima al cuore, ma anche viceversa.
«Non so proprio cosa succede» è una frase che sentiamo ripetere spesso dai pazienti sottoposto a esami diagnostici approfonditi, ma in parte superflui. E il sistema sanitario ne guadagna.
Quando i pazienti conoscono bene le proprie funzioni fisiologiche e sanno cosa li agita e cosa invece li tranquillizza, hanno la sensazione di poter esercitare una forma di controllo. Questo, a sua volta, contribuisce a ridurre lo stress, la paura e le cosiddette «sensazioni fisiche» come tachicardia o extrasistole, che possono presentarsi senza significare qualcosa di spaventoso.
L’ampiezza delle prospettive della riabilitazione cardiologica e la diffusione degli interventi psico-sociali evidence-based, basati su modelli teorici derivati dalla psicologia della salute e dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale, possono rappresentare un’adeguata e stimolante conclusione al contributo della medicina comportamentale nella psicocardiologia interventistica.