«I veri sconvolgimenti storici non sono quelli che ci empiono di stupore per la loro vastità o violenza. I soli cambiamenti importanti ‘ quelli che consentono il rinnovarsi delle civiltà ‘ avvengono nelle opinioni, nei concetti e nelle credenze? Mentre le antiche credenze barcollano e spariscono, e le vetuste colonne della società si schiantano a una a una, la potenza delle folle è la sola che non subisca minacce e che veda crescere di continuo il suo prestigio.
L’età che inizia sarà veramente l’era delle folle? La conoscenza della psicologia delle folle costituisce la grande risorsa dell’uomo di Stato che voglia non dico governarle (cosa divenuta ormai ben difficile), ma almeno non essere da esse interamente governato.»
Pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1895, Psicologia delle folle seppe cogliere i primi segnali dell’entrata in scena di un nuovo attore sociale: la folla, soggetto e oggetto di un nuovo operare politico. Degradato a manuale precettistico, fu opera di riferimento per dittatori e aspiranti dittatori degli anni Venti del secolo scorso. Ma nelle sue parti più vitali, nelle sue numerose intuizioni, in certo suo profetismo, questo libro inaugura l’epoca di una nuova consapevolezza dell’uomo.
Gustav Le Bon (1841-1931), etnologo e psicologo (fu uno dei fondatori della “Psicologia sociale”) nato in Francia a Nogent-Le Retrou, fu il primo psicologo a studiare scientificamente il comportamento delle folle, cercando di identificarne i caratteri peculiari e proponendo tecniche adatte per guidarle e controllarle.
Per questa ragione le sue opere vennero lette e attentamente studiate dai dittatori totalitari del novecento, i quali basarono il proprio potere sulla capacità di controllare e manipolare le masse.
La Psychologie des foules di Gustave Le Bon fu pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1895. Per alcuni anni suscitò vasta risonanza, poi cominciò ad essere trascurata, se non proprio dimenticata, e oggi, di solito, i manuali di psicologia dedicano ad essa soltanto poche righe. L’opera di Le Bon merita invece di essere ripubblicata e riletta, non soltanto per ragioni di ordine storico, ma anche per ragioni di ordine scientifico.
Quanto alle prime, infatti, non esistono dubbi sulla parte avuta dalla Psicologia delle folle nella storia delle idee: una parte notevolmente più significativa di quel che le poche righe dei manuali di psicologia lascerebbero immaginare. Sul valore scientifico delle tesi di Le Bon, viceversa, il giudizio deve farsi più cauto.
Sono evidenti le insufficienze metodologiche, le imprecisioni, le previsioni errate, le contraddizioni della Psicologia delle folle. Ma ad evitare frettolose valutazioni (o sottovalutazioni), va subito detto che Le Bon ha però ottenuto singolari riconoscimenti proprio da parte di alcuni fra i più eminenti sociologi e psicologi del nostro tempo.
Ci riferiamo a Sigmund Freud e a Cari Gustav Jung, a Joseph A. Schumpeter e a Robert K. Merton, a Max Horkheimer e a Theodor W. Adorno.
La Psychologie des foules è pensata nella prospettiva di un’evoluzione bloccata degli organismi sociali, dell’impossibilità per i componenti delle folle di determinate civiltà di innalzarsi con successo verso il dominio di sé. Occorre privilegiare tale contesto interpretativo, anche perché, al di là delle intenzioni e delle convinzioni politiche di Le Bon, il suo libro ha finito per apparire, in maniera esclusiva, come il perfetto manuale dei tiranni del Novecento.
È vero che il Duce del fascismo ha esplicitamente dichiarato: “Ho letto tutta l’opera di Le Bon, e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. È un’opera capitale alla quale ancor oggi spesso ritorno”. Ed è anche vero che tracce consistenti del pensiero di Le Bon si rinvengono in Hitler. Queste liaisons dangereuses non rendono, tuttavia, Le Bon un diretto “precursore” del fascismo.