Si vuole iniziare questo excursus affrontando una problematica molto diffusa che si incrocia fortemente con le logiche discriminatorie che si tenta di avversare. L’empowerment di gruppo L’empowerment, come specifica Zimmerman , non è un tratto immutabile della personalità, ma una costruzione dinamica ed evolutiva guidata dal contesto: assume perciò forme diverse per persone diverse in contesti diversi.
Il carattere open-ended del costrutto pone difficoltà di misurazione, ma permette che venga adattato alle norme, ai valori e alla visione del mondo specifici dei singoli ambiti d’intervento, gruppi di comunità e comunità. L’empowerment come strategia di sviluppo di comunità competenti consiste proprio nel favorire la crescita della natura empowering della comunità, e dello stato empowered dei suoi membri, a partire dai più semplici processi di micro-pedagogia della partecipazione sociale come pratica di libertà.
Con altre parole, riprendendo la terminologia dell’ala radicale della psicologia di comunità (Rappaport ha chiamato questo processo «acquisizione di potere»), la radice di empowerment è power, potere: infatti è proprio dalla situazione di mancanza di potere che si attiva il processo.
La percezione di assenza di potere può dipendere da fattori sia soggettivi che oggettivi: l’assenza di esperienza politica, il mancato accesso alle informazioni, l’assenza di sicurezza economica, l’appartenenza a gruppi sociali stigmatizzati e interiorizzati secondo gli stereotipi negativi della società, il sentimento di disorientamento rispetto alla complessità, il fatalismo e l’arrendevolezza di fronte a un tessuto sociale disgregato .
Il passaggio all’acquisizione di potere sulle condizioni che influenzano la qualità della vita implicano processi di condivisione di bisogni/competenze/ desideri, modificazione nei rapporti tra i soggetti della comunità, riappropriazione delle abilità e competenze proprie di ciascun soggetto sociale.
Rappaport intende con ciò enfatizzare l’incremento delle capacità delle persone di passare dalla cosiddetta situazione di «passività appresa» (learned helplessness) del soggetto che ha sviluppato un sentimento di impotenza di fronte a esperienze alienanti o frustranti, «all’apprendimento della speranza» (learned hopefullness) derivata dal sentimento di aumentato controllo sugli eventi, tramite la partecipazione e l’impegno nella propria comunità.
Possiamo affermare che la partecipazione a eventi significativi (in quanto il percorso permette ai soggetti di sentirsi parti-in-azione), genera il committment con la comunità (ovvero il riconoscimento dell’ingaggio reciproco del soggetto con la comunità).
Lo sviluppo di processi partecipativi nei percorsi di cambiamento è fortemente correlato alla crescita del senso di proprietà (ownership) dei progetti, dei servizi, ecc. Il senso di proprietà, a sua volta, permette l’instaurarsi del sentimento di controllo dei soggetti rispetto alla propria situazione di vita nella comunità, e alla qualità di vita in essa possibile e desiderabile.
Le due variabili (partecipazione agli eventi e sentimento di controllo) si rinforzano vicendevolmente sviluppando nei soggetti la consapevolezza di poter influenzare il contesto e le decisioni che riguardano la propria esistenza. In questo senso si potrebbe dire che è l’azione collettiva che alimenta e mantiene la speranza nella possibilità di influenzare, cambiare, trasformare la realtà di appartenenza.
Il gruppo in questo modo si costruisce come una Comunità di Pratiche (Wenger, 1998) dove si mettono al centro le pratiche di cura intesa come possibilità di nutrire l’agency personale (Sen, 1985; Gasper, 2007), cioè la capacità di agire in funzione di obiettivi ritenuti importanti e che vanno al di là del proprio ben-essere individuale: il focus è il ben-essere del figlio/alunno e gli adulti si mettono in gioco per discutere su come fare un buon lavoro educativo corale.
Perciò il gruppo è crocevia di relazioni che tengono assieme i vari contesti di vita e soprattutto incentiva l’armonizzazione educativa tra essi.